Thailandia: si allontana ancora la prospettiva di un ritorno alla democrazia

Anthony Desbiens tradotto da Agnese Biliotti
7 Août 2015



Il colpo di Stato doveva essere temporaneo e pacifico; in realtà, sta durando troppo a lungo e ha già superato il suo primo anniversario dal 22 maggio scorso. La giunta militare che, di fatto, dirige la Thailandia da un anno ha appena respinto l’organizzazione delle prossime elezioni in autunno 2016. Una prospettiva tanto lontana quanto preoccupante e che lascia ipotizzare un nuovo cambiamento di Costituzione a favore del potere militare. L’Unione europea e la comunità internazionale si accontentano per ora di semplici critiche.


Fonte: Chaiwat Subprasom – Reuters
Fonte: Chaiwat Subprasom – Reuters
Per abitudine, tedio o pragmatismo, la Thailandia evita per il momento il peggio e la guerra civile, un anno dopo il colpo di Stato attuato dal potere militare che ha portato alla nomina del suo capo, il generale Prayuth, al posto del Primo ministro. Nel maggio 2014, il Paese è stato il teatro di violenti scontri tra i sostenitori della Primo ministro donna democraticamente eletto, Yingluck Shinawatra, destituita dalle sue funzioni dalla giustizia, e i suoi oppositori, principalmente composti da élite thailandesi, ultra-monarchici e militari. É dunque in un contesto di forti turbolenze che la giunta si era impossessata del potere, con il benestare del re, ottantasettenne, e venerato nel Paese.

Un anno dopo, occorre constatare lo status quo. Guidato dal pugno di ferro del generale Prayuth, il Paese non sembra pronto a ripartire con delle elezioni democratiche. Queste ultime sono state nuovamente rimandate, questa volta alla fine del 2016. Una scadenza più lontana doveva lasciare il tempo alla giunta militare di portare a termine una nuova riscrittura della Costituzione thailandese ˗ si tratterebbe della decima in un secolo ˗ che sarebbe naturalmente conforme ai principi che difende, e in particolare alla monarchia in carica.

Se il potere militare ha realizzato questo colpo di Stato nel maggio 2014 è innanzitutto perché voleva evitare che la monarchia fosse messa in discussione. Yingluck Shinawatra, e prima di lei suo fratello Thaksin, che fu anche lui Primo ministro del Paese dal 2001 al 2006 prima di essere destituito da un colpo di stato, sono accusati dai loro oppositori di cercare di mettere in discussione la monarchia. Fondamentalmente, come riassume Le Figaro, la nuova Costituzione voluta dalla giunta cerca di minare “la giovane democrazia thailandese, in favore dell’establishment monarchico di Bangkok, la cui superiorità era stata messa in crisi dalle urne e dall’ascesa di Thaksin”, poi da quella della sorella.

Fonte: REUTERS/Erik De Castro
Fonte: REUTERS/Erik De Castro
Nell’attesa, il potere in carica accresce la sua influenza sul Paese, per mezzo di una repressione sempre più virulenta e grazie agli inviti alla calma ripetuti da Yingluck Shinawatra. I primi bersagli del generale Prayuth sono i giornalisti che criticano il regime. A marzo, il Primo ministro ha perfino minacciato di condannare a morte coloro “che non riferiscono la verità”, pur consigliando loro di lavorare in modo da favorire la “riconciliazione nazionale”.

In generale, la legge marziale prevale in Thailandia da maggio 2014 e vieta ogni tipo di riunione politica. Oltre ai media, il governo se la prende principalmente con tutti i sostenitori della famiglia Shinawatra e ha addirittura reintrodotto il reato di lesa maestà. Poco invocato in Thailandia, e soprattutto non contro i membri della società civile, è stato adattato ai tempi e un uomo è stato condannato a marzo con una pena di 25 anni di prigione per dei commenti scritti su Facebook e giudicati offensivi nei confronti del re.

Per ora, di fronte a questa deriva autoritaria e malgrado l’imprecisione totale che riguarda il contenuto preciso della futura Costituzione e la data delle prossime elezioni, la comunità internazionale resta chiusa nel silenzio. L’Unione europea come gli Stati Uniti si sono accontentati di condannare il colpo di Stato e di richiedere un ritorno alla democrazia, senza menzionare alcuna misura di ritorsione. Un atteggiamento dannoso e, in definitiva, pregiudizievole, almeno per l’Europa, in quanto potrebbe intaccare la credibilità della sua diplomazia nascente.

Come spiegato da Gothom Arya, direttore del Centro di ricerche per l’instaurazione della pace, per Libération, la futura Costituzione “è un progetto redatto col pensiero che i politici sono i cattivi, che non si può dar loro fiducia e che esistono solo i membri dell’assemblea (nominati dai militari) che possono continuare a fare riforme”. La Thailandia non è la priorità dell’Unione europea o della comunità internazionale, ma la loro attenzione verso questo Paese dovrà aumentare sensibilmente per evitare l’instaurarsi di una dittatura duratura.

Notez