Una donna mostra la fotografia di suo figlio ucciso dall’esercito. Autore: Emma Gasco’
Dopo aver ricevuto e ascoltato nei giorni precedenti la deposizione di numerosi familiari delle vittime, il procuratore generale si è concesso alla stampa. Si trattava di difendere l’operato del pubblico ministero incaricato dell’inchiesta in un momento in cui sono in molti a criticare l’attendismo della giustizia colombiana. La sua dichiarazione non ha fatto altro che confermare l’entità dello scandalo all’interno dell’apparato statale: più di 2.000 persone sono coinvolte nell’inchiesta, di cui 1.573 membri dell’esercito. Sono già state pronunciate circa 800 sentenze di condanna ma è ora tempo di valutare il grado di responsabilità dei dirigenti militari. Lo scandalo dei “falsi positivi” non riguarda solo qualche caso isolato, è quindi arrivato il momento di far luce su un sistema molto più vasto.
Il dilagare della pratica durante i mandati di Uribe
Le esecuzioni extragiudiziali sono una componente importante della storia del conflitto armato colombiano. L’assenza di un apparato di giustizia efficace sull’intero territorio nonché la collusione tra esercito ufficiale e gruppi armati illegali spiegano l’importanza di tale fenomeno. Se un numero spropositato di civili è stato ucciso allo scopo di terrorizzare la popolazione oppure ottenere informazioni, è importante distinguere il caso dei “falsi positivi”. Con questa espressione ci si riferisce a individui presi con la forza, sequestrati e assassinati per mano dell’esercito nazionale. I civili sono poi camuffati da guerriglieri in modo tale da migliorare le statistiche sui nemici abbattuti dalle brigate in guerra. Nel linguaggio militare, un “positivo” rappresenta un nemico sconfitto, motivo per cui a questi civili innocenti è stato dato l’appellativo, mal scelto, di “falsi positivi”. Un rapporto della CIA afferma che, a partire dal 1994, queste stragi costituiscono una pratica usuale operata dall’esercito colombiano. Tuttavia saranno gli anni 2000 a registrare il maggior numero di casi.
Nel 2002 Álvaro Uribe è eletto presidente della Colombia, con la promessa di sradicare militarmente la guerriglia. Mette quindi in pratica la sua politica di “sicurezza democratica”, caratterizzata da un forte aumento del personale militare e dei mezzi a disposizione delle forze armate. Il conflitto colombiano raggiunge allora il parossismo: gli scontri si moltiplicano e l’esercito si appoggia a gruppi paramilitari per estendersi su più territori.
La politica di Uribe non terrà fede ai suoi valori democratici e non sarà messo in atto nessun meccanismo capace di verificare l’operato delle forze pubbliche da parte della giustizia. A tutti i militari è garantita l’impunità e gli abusi diventano sistematici. Durante i due mandati di Álvaro Uribe si assiste a un incremento del 154% dei casi registrati di “falsi positivi, aumento che non può tuttavia trovare come unica spiegazione la mancanza di mezzi da parte del potere giudiziario.
Politica di “ricompense”: conseguenze prevedibili
E’ a partire dal 2006 che si constata effettivamente un grave incremento del numero delle vittime civili assassinate e presentate dall’esercito come guerriglieri. Si tratta di una conseguenza diretta dell’applicazione della direttiva ministeriale num. 029, allora tenuta segreta. Il documento, emanato nel 2005 dal ministro della difesa Camilo Ospina, stabilisce in maniera inequivocabile un sistema di ricompense in denaro o in licenze per ogni militante ucciso. Il cadavere di un guerrigliero valeva allora 3.800.000 pesos colombiani, circa 1.400 euro, o più giorni di permesso. Addirittura il materiale sequestrato al nemico dava diritto a un compenso.
Foto della direttiva num. 029 che mostra le somme promesse in funzione del materiale sequestrato al nemico. Fonte: classe-internationale.com
Al di là di questo sistema di ricompense, anche il metodo di valutazione dell’efficienza delle forze armate ha mostrato i suoi limiti. In Colombia, ogni brigata era giudicata proporzionalmente al numero dei nemici uccisi. Ogni giorno, la radio miliare trasmetteva una classifica delle brigate sulla base dei “positivi” assassinati. Occupare gli ultimi posti della classifica era vergognoso. Questa strategia ha di conseguenza condizionato i soldati ad accettare la necessità di quelle esecuzioni.
Gli abusi non tarderanno ad arrivare. Alcuni soldati facevano ricorso a intermediari con lo scopo di reclutare ragazzi, emarginati, residenti nei quartieri più malfamati. In genere si proponeva loro un lavoro fuori dalla città, ma in verità questi innocenti erano presi dai militari per poi essere assassinati. La messa in scena delle esecuzioni era sempre ben studiata, con simulazioni di scontri e conflitti a fuoco. Un ex soldato dichiara addirittura che le munizioni, in realtà non utilizzate durante quei combattimenti, erano poi rivendute a gruppi armati. Queste pratiche diventeranno sistematiche fino al 2008, anno in cui esplode lo scandalo.
Nessuna conseguenza giudiziaria diretta
Nonostante i forti sospetti sull’esistenza di questa pratica, lo scandalo scoppia soltanto nel 2008 quando scompaiono alcuni ragazzi di Soacha. I cadaveri di diciannove persone, tra cui diversi bambini della banlieue di Bogotá, sono ritrovati a centinaia di chilometri dalla città. Un rapporto dell’esercito li ritrae come una banda di guerriglieri abbattuti in combattimento. Scoppia la protesta delle famiglie delle vittime contro la tesi dell’esercito che non regge affatto. Diversi errori sono stati effettivamente commessi durante il travestimento dei cadaveri: le uniformi delle vittime sono nuove di zecca, alcuni indossano stivali di due taglie più grandi, ecc.
Questo avvenimento segna la rottura del silenzio creatosi intorno a quelle pratiche. Seguendo l’esempio dell’organizzazione delle Madri di Soacha, la popolazione si mobilita per portare a galla la verità. Lo stato cerca allora di mettere a tacere l’intera vicenda. I soldati che chiedono di avviare inchieste sono sistematicamente minacciati e alcuni a loro volta assassinati. Tutto questo non sarà però sufficiente a vincere la loro determinazione e si assiste, da quel momento, al moltiplicarsi delle rivelazioni e delle testimonianze sui “falsi positivi”.
Manifestazione di civili che chiedono giustizia per i “falsi positivi”. Fonte: boletinesdeprensacompromiso.blogspot.com
Lo stato è quindi costretto a reagire. Alla fine del 2008, 25 militari sono destituiti dalle loro cariche e il comandate in capo dell’armata di terra, il generale Mario Montoya rassegna le sue dimissioni. Il presidente Uribe si rifiuta comunque di ammettere ogni responsabilità. I casi dei soldati accusati sono presentati come incidenti isolati, non si alimenta alcuna riflessione di fondo. In diversi casi, questi militari non saranno neppure assicurati alla giustizia. Il generale Montoya è invece nominato ambasciatore nella Repubblica Dominicana. Una stima dell’ONU del 2010 conta 98,5% esecuzioni extragiudiziali rimaste impunite in Colombia.
Una speranza di giustizia per i familiari delle vittime?
È proprio nel 2010 che si verifica un cambiamento radicale. Juan Manuel Santos, fino a quel momento ministro della difesa, succede ad Álvaro Uribe alla presidenza della Repubblica. Juan Manuel Santos prende subito le distanze dal suo predecessore, avviando negoziati con le FARC. L’ex presidente diventa allora il suo principale avversario politico. Questa divisione all’interno dell’allora maggioranza metterà fine agli ostacoli che impedivano l’avvio delle inchieste sugli abusi della politica di “sicurezza democratica”.
Negli ultimi cinque anni sempre più militari sono stati interrogati sulla vicenda. Il 12 aprile scorso, il procuratore generale Eduardo Montealegre ha dichiarato che 805 agenti dello stato, di cui 785 soldati, erano già stati condannati. Si trattava tuttavia di semplici esecutori o responsabili minori. La sistematicità di questa pratica mette chiaramente in luce che si trattava però di un fenomeno più esteso.
Militari interrogati in tribunale. Fonte: cablenot.com
L’inchiesta non può dunque limitarsi a quei pochi capri espiatori. Bisogna giudicare ora il grado di responsabilità degli alti funzionari dell’esercito. Eduardo Montealegre ha quindi preannunciato che prenderà “una decisione di fondo sulla vicenda dei 22 generali” prima della fine dell’anno. Decisione che potrà segnare una svolta nella storia colombiana poiché, nonostante le numerose atrocità commesse dall’esercito, nessun generale è mai stato condannato.
I familiari delle vittime restano tuttavia prudenti di fronte alle conclusioni di questa inchiesta. In diversi casi, la situazione è migliorata ben poco: alcune famiglie non possono ancora recuperare i corpi dei loro cari assassinati e le richieste di risarcimento non hanno alcun seguito.
È tra l’altro difficile considerare tali pratiche confinate nel passato. Nel 2014, per esempio, 4 persone, di cui un adolescente di 14 anni, sono state abbattute dall’esercito e spacciate per guerriglieri. Tutti gli abitanti del villaggio delle vittime contestano questa versione dei fatti. Al momento, lo stato non ha fornito alcuna prova a sostegno della propria tesi. Recentemente, il 10 febbraio 2015, un uomo è stato assassinato dalle forze pubbliche, vittima sempre della stessa pratica.
Oggi i negoziati di pace intavolati a l’Avana tra il governo e i rappresentanti delle FARC permettono di accendere un barlume di speranza sulla fine del conflitto armato colombiano, causa già di 220.000 morti e 5,3 milioni di profughi. Regolarmente il governo colombiano chiama i dirigenti delle FARC ad assumersi le proprie responsabilità per le sofferenze inflitte ai civili. Questo processo di pace potrà tuttavia concretizzarsi solo se governo ed esercito accetteranno di riconoscere i propri torti e si assicureranno una volta per tutte alla giustizia. Per chiudere definitivamente con un conflitto vecchio di 50 anni, il popolo colombiano ha bisogno di conoscere la verità sulla sua storia recente. Solo la volontà dello stato di far chiarezza sulla vicenda dei “falsi positivi” renderà tutto ciò possibile.