Brasile, colpo di stato di velluto

Timothée de Rauglaudre, tradotto da Alessandra Ferrini
6 Septembre 2016



Mercoledì 11 maggio, il mandato di Dilma Rousseff come Capo di Stato sarà molto probabilmente sospeso. La presidente brasiliana è sottoposta ad una procedura di destituzione. Si tratta di una manovra guidata dalla destra che taluni denunciano come un colpo di Stato istituzionale, condotto con il consenso rumoroso della borghesia, dei businessman e del sistema mediatico.


Fonti Agência Brasil
Fonti Agência Brasil
Salvo che non si verifichi un ribaltamento della situazione all'ultimo minuto, il destino di Dilma Rousseff sembra essere stabilito. Infatti, il mandato della presidente della Repubblica federativa del Brasile è rimesso in discussione da una procedura di destituzione lanciata nel dicembre scorso. L’11 maggio, il Senato, dominato dall’opposizione, dovrà approvare con la maggioranza semplice l’impeachment che era stato già approvato dai deputati, a maggioranza qualificata dei due terzi, il 17 aprile scorso. Come ha fatto il capo della sinistra a ritrovarsi in questa situazione? Rousseff continua a ripetere che è spinta a farlo da un “colpo di Stato legale in apparenza” guidato dalla destra. Il suo mentore, Luiz Inàcio Lula da Silva, detto “Lula”, presidente dal paese dal 2003 al 2011, non smentisce quando afferma davanti ai suoi partigiani a San Paolo: “Non accetteremo che ci sia un colpo di Stato in Brasile!” Se gli oppositori al governo e i media che detengono il potere si burlano di questa retorica del colpo di Stato, ritenuta eccessiva, la situazione merita di essere analizzata più seriamente. In Brasile come all’estero, voci discordanti tentano di dimostrare che Dilma Rousseff e il suo partito sono effettivamente vittime di una manovra politica al limite della legalità, un segnale pericoloso per la democrazia del paese più grande dell' America latina.

Al potere una destra corrotta

Merita ricordare chi è che vuole rovesciare dal suo trono Dilma Rousseff. Si tratta di Eduardo Cunha, il presidente del Congresso dei deputati, che ha lanciato nel dicembre 2015, con altri deputati e con il consiglio dei giuristi, la procedura di destituzione. Cosa lo ha spinto a farlo? Un presunto “crimine di responsabilità” - una delle ragioni di destituzione previste dalla Costituzione- che avrebbe commesso la presidente ricorrendo a una “manipolazione del bilancio” cioè la contabilizzazione dei prestiti alle banche pubbliche con un anno di ritardo, nel 2014, alla vigilia della sua rielezione, e nel 2015.

Una pratica a cui hanno ricorso molti presidenti prima di Dilma Rousseff, come vuole ricordare lei stessa, benché in minor misura. Infatti, i suoi predecessori non si erano mai ritrovati a far fronte ad una recessione grande quanto quella che colpisce oggi il paese. Che l’accusa di crimine di responsabilità sia fondata o meno, la presidente non è accusata di avere abusato delle sue funzioni per arricchimento personale. Invece, Eduardo Cunha è stato incriminato di corruzione al momento dello scandalo Petrobras. Il fatto, emerso nel 2014, ha rivelato l’esistenza di un ampio sistema di corruzione tramite il gigante petrolifero pubblico Petrobras, che retribuiva eccessivamente delle ditte di edilizia in cambio di tangenti intascate dai politici. Si tratterebbe di una cinquantina di politici e di miliardi di dollari finiti nel giro delle mazzette.

Le persone denunciate provengono da diverse fazioni politiche, dal Partito dei Lavoratori (PL), il partito di Rousseff, ma anche dal Partito del Movimento Democratico Brasiliano (PMDB), il movimento di destra di cui sono membri Eduardo Cunha e Michel Temer, vice-presidente del governo, entrambi citati in questo scandalo di corruzione che ha creato notevole rumore. Michel Temer, che ha domandato ai membri del suo partito di consegnare le dimissioni come anticipazione di una probabile destituzione di Rousseff, è proprio l’uomo che dovrebbe salire al potere automaticamente al posto di Dilma Rousseff, per un periodo di sei mesi. Per centottanta giorni, il potere sarebbe nelle mani di un leader con un numero di consensi molto più basso di quelli di Rousseff, già storicamente basso. Tuttavia, secondo i recenti sondaggi, il PL risulta il primo per consensi : in caso di nuove elezioni legislative, il partito di Lula, che ha annunciato di volersi presentare come successore di Dilma Roussef, arriverebbe primo con il 31% dei voti.

Secondo Ricardo Peñafiel, ricercatore presso il Gruppo di ricerca sulle previsioni politiche in America latina (Gripal) all’UQAM in Québec, i leader coinvolti del PMDB non possono utilizzare l’imputazione di certi membri del PL nel contesto dello scandalo Petrobras per destituire la presidente. “A tal proposito, si concentrano su questa storia di contraffazione del deficit fiscale”, afferma Peñafiel . Lo scopo di una tale manovra è di cacciare la sinistra dal potere dove essa si trova da tredici anni, un periodo troppo lungo per una destra impaziente di smantellare le politiche sociali e le mosse progressiste. “Dilma Rousseff si ritrova ad affrontare una vendetta politica”, nota Gaspard Estrada, direttore esclusivo dell’Osservatorio politico dell’America latina e dei Caraibi (Opalc) di Sciences Po Paris. Costui ricorda che nel 2003 Lula era stato oggetto di una procedura di destituzione guidata dalla destra. All’epoca, il presidente godeva di un momento economico favorevole e di consensi provenienti dalle classi popolari sedotte dalle politiche sociali che gli avevano permesso di resistere. Una situazione sconosciuta a Dilma Rousseff.

Una versione moderna del colpo di Stato

L'espressione “colpo di Stato” è molto connotata in Francia; da ciò deriva una certa reticenza ad accettare il suo uso per definire la situazione politica in Brasile, come sottolinea Vanessa Oliveira, giornalista brasiliana e dottoranda in scienze dell’informazione e della comunicazione all’università Paris VIII nonché membro del Movimento democratico del 18 marzo (MD18). Queste parole rimandano infatti ai violenti colpi di Stato militari che hanno colpito i paesi dell’Americana latina, tra cui il Brasile, negli anni '60 e '70, spesso con l’appoggio della CIA. Secondo Vanessa Oliveira, oggi bastano procedure più legali ed istituzionali per smantellare un governo democraticamente eletto, per motivi puramente politici.

Fonti Tang'
Fonti Tang'
Il colpo di Stato del 2009 in Honduras, durante il quale l’esercito era stato sostenuto dalla Corte suprema e dal Congresso, ne è un esempio lampante. A quell’epoca, il presidente Manuel Zelaya, inizialmente liberale, si era inimicato l’oligarchia e la borghesia honduregne iniziando ad avvicinarsi al governo socialista del presidente venezuelano dell’epoca, Hugo Chávez. L’offensiva in corso contro la presidente brasiliana di sinistra sembra, anche qui, ricevere un sostegno instancabile da parte del business e delle classi agiate.

Proteste borghesi

La manovra politica della destra è sostenuta da migliaia di persone che sfilano nelle vie, in numero maggiore a quelle che sfilano per sostenere la presidente. Laurent Delcourt, ricercatore presso il Centro tricontinentale (Cetri) in Belgio, ha pubblicato su Le Monde diplomatique di maggio, un articolo intitolato “Primavera fuorviante in Brasile ”. Nel presente articolo l'autore mostra il proprio interesse per la sociologia dei manifestanti. Si tratta perlopiù di uomini bianchi – in un paese largamente multietnico, dove le etnie non bianche sono le prime ad essere colpite dalla povertà – diplomati alle scuole superiori e appartenenti alle classi sociali più agiate della popolazione, “insomma, all’élite della società brasiliana”. Il giornale Zero Hora, quotidiano liberal conservatore, spiega che il 40% dei manifestanti guadagna dieci volte lo stipendio minimo, e il 76% ha votato per il candidato di destra Aéco Neves durante le presidenziali del 2014.

Gli slogan che si sentono durante questi raduni offrono degli spunti ulteriori sulla classe sociale di coloro che scendono in piazza per rovesciare la presidente: proteste contro la pressione fiscale, contro le politiche di redistribuzione del reddito, contro i servizi pubblici, in particolare contro l’insegnamento e i trasporti; insomma contro tutte le politiche attuate dalla sinistra. Per Laurent Delcourt, questo movimento di protesta “evoca di più le 'marce della famiglia con Dio e per la libertà'”, che avevano preceduto il colpo di Stato del 1964, rispetto a quanto evochi un risveglio cittadino e democratico. All’epoca, queste marce si opponevano alle riforme progressiste del presidente João Goulart, accusato di cospirazione comunista. Oggi, l’obbiettivo, al di là della lotta alla corruzione, è di abbattere il PL e di seppellire i (magri) acquisti del “lulismo”.

I principali media brasiliani intraprendono una campagna mediatica esplicita contro Lula e il Partito dei Lavoratori, chiedendo addirittura di scendere in piazza per manifestare contro il governo, come testimonia Luís Carlos, ex giornalista del quotidiano nazionale O Globo. Si focalizzano sulla corruzione, minimizzando il coinvolgimento dei partiti di destra. Così i media trasformano la procedura di destituzione in un'offensiva autenticamente democratica contro la corruzione, passando sotto silenzio l'identità di coloro che hanno promosso l'iniziativa e di conseguenza anche le loro intenzioni. Questa visione distorta e parziale della realtà è ampiamente ripresa dai media stranieri. Un tale trattamento mediatico non è sorprendente dal momento che il 70% dei media brasiliani sono posseduti da sei ricche famiglie sostenitrici dei partiti di destra. Ma il sistema mediatico è lontano dall'essere l’unico problema che colpisce il Brasile. Il paese è prigioniero di un insieme di sistemi ormai in decadenza che lo soffocano.

Una crisi di sistema(i)

Prima che la procedura di destituzione di Dilma Roussef si imponesse al centro della scena politica, i Brasiliani erano già in piazza e da diversi anni. La loro sociologia era ben più diversa e i loro motivi d’indignazione chiaramente visibili: non solo la corruzione generalizzata rivelata dallo scandalo Petrobras, ma anche le politiche di austerity istituite da Dilma Rousseff sin dalla sua rielezione nel 2014, come reazione alla profonda recessione che colpisce il Brasile. Politiche che hanno causato soprattutto una mancanza di investimenti nei servizi pubblici.

Dilma Roussef. Fonti Muriel Epailly.
Dilma Roussef. Fonti Muriel Epailly.
Martine Droulers, direttrice emerita presso il CNRS e esperta del Brasile, sottolinea il ruolo giocato nel clima sociale sempre più teso a causa delle nuove divisioni create dalle politiche di redistribuzione del reddito del PL, politiche che hanno fatto uscire decine di milioni di Brasiliani dalla povertà: “Ci sono divari all'interno dell'ampio ceto medio brasiliano tra i più bisognosi; quest'ultimi, sempre più numerosi, hanno un accesso maggiore ai beni di consumo. La domanda di servizi pubblici si fa sempre più pressante. I Brasiliani sono insoddisfatti soprattutto dei trasporti pubblici.” La ricercatrice stima che la crescita economica del paese è iniziata a crollare nel 2012-2013 in seguito alle decisioni sbagliate del governo in campo energetico, favorendo lo sfruttamento costoso del petrolio, il cui prezzo ha sperimentato una caduta libera. Dilma Rousseff sarebbe il “capro espiatorio” politico in un contesto economico molto difficile. Tuttavia, la presidente “è uno dei responsabili politici brasiliani meno corrotti”, e si è dimostrata molto più intransigente per quanto riguarda la corruzione, offrendo più mezzi alla polizia e alla giustizia rispetto ai suoi predecessori di destra.

Infatti, la corruzione è profondamente ancorata nei geni del sistema politico brasiliano: secondo l’ONG Transparency International, quasi il 60% dei membri della classe politica è coinvolto in processi giudiziari, principalmente per corruzione. Allo stesso modo, dei sessantacinque membri della commissione parlamentare incaricata di contestualizzare la procedura di destituzione, trentasei rientrano o sono rientrati nei processi per corruzione. Questa situazione lascia pensare che la crisi politica che colpisce il paese, abbia le sue radici nel sistema politico stesso.

I Brasiliani stessi sembrano volere un rinnovo democratico. Secondo un sondaggio Ibope pubblicato la settimana scorsa, il 62% dei Brasiliani pensa che la crisi politica si risolverebbe con le dimissioni di Dilma Roussef e di Michel Temer, e con l’organizzazione delle elezioni legislative anticipate, un’opzione che è stata suggerita dalla presidente qualche giorno prima della sua probabile destituzione. Il ricercatore Ricardo Peñafiel aggiunge anche che: “Dilma Rousseff potrebbe indire le elezioni e proporre una nuova Costituzione, esaltando il fatto che è ciò che occorre per risolvere una crisi causata da un problema istituzionale generalizzato. Le elezioni e una nuova Costituzione diminuirebbero le manifestazioni in piazza. Una procedura costituzionale permette agli attori - e non solo ai rappresentanti politici, che non solo sono corrotti, ma che non hanno più nessuna legittimità – di dibattere”. Il ricercatore del Gripal ricorda anche che altri paesi come la Colombia, l'Ecuador e la Bolivia hanno preso in considerazione questa posta in gioco e “hanno trovato meccanismi che fanno sì che ci sia una partecipazione popolare fino all'ultima decisione. I parlamentari sono stati assolutamente messi da parte per una rappresentazione della popolazione. Se Dilma Rousseff non avesse avuto i giorni contati, una soluzione del genere sarebbe stata sia politicamente intelligente sia salvatrice per la democrazia brasiliana, sempre più minacciata.

Notez