Fonte Baraa al-Halabi
Nel 2011, all’inizio della rivolta in Siria, Baraa non si occupa di fotografia. È al primo anno di informatica presso l’università di Aleppo e il percorso intrapreso lo conduce verso la carriera di ingegnere. Con il suo telefonino realizza foto e video del momento storico in cui vive. Quando scoppia la rivoluzione, Baraa decide di lasciare gli studi per dedicarsi completamente a quello che il suo Paese sta vivendo. Vuole avere un ruolo attivo nella rivoluzione. Per concretizzare la sua lotta ma anche per far conoscere i fatti con la massima autenticità possibile, Baraa mostra quello che i media siriani si impegnano a nascondere: violenza, lotte civili e tanta paura. Le competenze informatiche lo aiutano nella sua impresa e, attraverso il software Bambuser, lui e i suoi compatrioti trasmettono le manifestazioni e i raduni in diretta su canali internazionali come Al-Jazeera Live.
La volontà di andare controcorrente
Ma il suo impegno ha delle conseguenze: il 22 giugno 2011, più di trecento studenti dell’università di Aleppo vengono arrestati, su ordine del regime di Bashar al-Assad, per aver partecipato ad alcune manifestazioni, tra loro c’è anche Baraa. I capi d’accusa sono gli stessi per tutti: oltraggio e sabotaggio nei confronti del Presidente. Il giovane siriano è fortunato e trascorre solamente un mese in prigione. Uscito dal carcere, sceglie lo pseudonimo di al-Halabi, cioè “l’aleppino”, e frequenta i quartieri rivoluzionari di Aleppo. Nel 2013 compra una videocamera di bassa qualità. L’anno seguente acquista la sua prima fotocamera, una Canon 1100. Si dà da fare per imparare alcune tecniche fotografiche su internet osservando tra le altre cose anche foto di guerra del New York Times e del The Independent. Tutte quelle ore ad analizzare la composizione dell’immagine, qualche mese dopo, si riveleranno utili.
Tutto accade molto velocemente: un amico parla di lui ad AFP (Agence France-Presse, agenzia di stampa francese N.d.T) e quest’ultima lo contatta e acquista le sue foto. Quella che gli varrà il premio Fujaïrah ha una storia particolare. Baraa l’ha scattata il 3 giugno 2014, giorno delle elezioni presidenziali in Siria. Mentre rientra nel quartiere di Soukkari, un barile di esplosivo scoppia in una moschea, creando una fitta nebbia di fumo e polvere. Un giovane porta sua sorella in braccio e chiede aiuto. Questa scena, immortalata da Baraa, è l’immagine straziante di quello che il popolo siriano vive sotto il regime di Bashar al-Assad: una sofferenza quotidiana di cui bisogna liberarsi per sperare di sopravvivere. Baraa non desidera andare in Francia come rifugiato, ma vuole restare il più a lungo possibile in Siria, recentemente classificato come il Paese più pericoloso al mondo.
Non dimenticare mai il senso della rivoluzione
In occasione della consegna del premio a Parigi, Baraa ha voluto ricordare che il terrore del regime siriano è ormai trasmesso solo attraverso le foto, come a dire che l’aiuto nei confronti di un popolo non è mai abbastanza di fronte al suo dittatore. Baraa vuole solo continuare la rivoluzione che ha visto nascere e che considera ancora viva. Oggi è un fotoreporter freelance per AFP. La foto che gli è valsa il premio, così come quelle di altri vincitori, è esposta fino all’11 ottobre presso l’Istituto del mondo arabo di Parigi. Durante il suo discorso, Baraa ha dedicato il premio al popolo siriano che ha preso e prende parte alla rivoluzione, come a ricordare che non si tratta di qualcosa di concluso.